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Cattive notizie per la piattaforma Meta, che oltre a questo social possiede anche Facebook, Instagram e WhatsApp. Infatti, l’Autorità Garante per della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha condannato la società di Mark Zuckerberg Meta per aver violato il Decreto Dignità.
L’inosservanza del Decreto, è relativa al divieto di promuovere in Italia giochi con vincita in denaro, attività di betting e gambling.
Per questo, Meta dovrà elargire come forma di sanzione amministrativa, 750mila euro all’Erario del nostro paese. E dovrà prendere provvedimenti per evitare che i creator delle inserzioni sponsorizzate Facebook - relative ai giochi con vincita in denaro - possano riproporre la diffusione di post dello stesso tipo. Ciò, al fine di evitare la pubblicità e la promozione di scommesse con soldi veri.
Ricordiamo che la pubblicità al gioco è vietata nel nostro paese e che, per poter offrire servizi iGaming, gli aspiranti operatori devono ottenere una licenza dall’ADM, la quale fornisce la trasparenza dei servizi comparabili.
In effetti, la multa a Meta è il primo provvedimento in assoluto, mai fatto dall’Autorità verso una piattaforma di social media per non aver impedito la pubblicità di contenuti, in trasgressione del sopracitato divieto. In effetti il Decreto Dignità del 2018, contemplava il divieto di pubblicità di gioco da casinò e scommesse online, con multe calcolate in percentuali del valore della sponsorizzazione (dal 5% al 20%).
Più specificatamente, la violazione del Decreto implica comunque una condanna ad una sanzione minima di 50 mila euro, accresciuta in base alle percentuali del valore delle sponsorizzazioni illegittime.
Come scrive Agcom in merito: “Tra le motivazioni a fondamento della sanzione, si sottolinea, in particolare, che Meta è responsabile per non aver previsto nelle proprie condizioni generali, destinate al mercato italiano e relative alla promozione di beni e servizi a pagamento, alcuna restrizione in relazione alla pubblicità di giochi con vincite in denaro”.
Insomma, secondo Agcom, Meta consentirebbe a ogni tipo di cliente business che si rivolge al pubblico italiano per la pubblicizzazione di questi contenuti, di sfruttare anche la possibilità di targetizzazione delle inserzioni pubblicitarie.
Come abbiamo anticipato, il Decreto Legge n. 87/2018 contiene le disposizioni urgenti per la dignità, sia dei lavoratori che delle imprese.
Più nel dettaglio, la condanna a Meta si riferisce all’Articolo 9 che tutela i consumatori. Questo è stato infatti introdotto per bloccare e contingentare la triste piaga della ludopatia.
Di fatto, frenando le attività di pubblicità, che siano dirette o indirette, dei giochi o delle scommesse con vincite in denaro, Bonus Casino, sponsorizzazione di eventi, prodotti o servizi attinenti, si cerca di evitare l’esposizione ad elementi che possano in qualche modo istigare comportamenti problematici legati alle scommesse con soldi veri. E parliamo di una norma imperativa e senza deroghe di sorta.
Meta invece ha pubblicizzato su Facebook svariati contenuti sponsorizzati tramite video, immagini, collegamenti ipertestuali, etc., aventi per oggetto giochi e scommesse online con vincita in denaro. A proposito di tutta la faccenda, un portavoce di Meta ha dichiarato che: “Pur avendo collaborato pienamente con l’autorità su questo tema, non siamo d'accordo con la decisione presa dall'Agcom e sulla multa imposta. Stiamo valutando le opzioni a nostra disposizione”.
La principale argomentazione difensiva di Meta Platforms Ireland Limited contro AGCM è fondata sull’assenza di responsabilità in considerazione del ruolo di hosting provider c.d. “passivo.” Infatti, sarebbe cosa ben diversa se Meta fosse invece un portale di e-commerce (Decreto Legislativo n. 70/2003).
In altre parole, Meta obietta il fatto di non avere obblighi di legge, di sorveglianza e ispezione ex ante, in merito a milioni di contenuti pubblicati dagli utenti sul Servizio Facebook. Quindi, conseguentemente non sarebbe direttamente imputabile per i contenuti diffusi tramite la piattaforma.
Su queste obiezioni, AGCM parla invece di un ruolo attivo del social dato che fornisce in via diretta il servizio mirato alla promozione di attività di gambling.
In particolare, le prove avrebbero riscontro nella sezione Transparency Center dove Meta illustra la propria policy pubblicitaria.
In questa sezione Meta dichiara che: “Le inserzioni che promuovono gioco d’azzardo e gaming online in cui sia richiesto un valore monetario per giocare (inclusi contanti o valute digitali/virtuali, ad esempio i bitcoin) e vi sia in palio un valore monetario di qualunque genere sono consentite solo previa autorizzazione scritta da parte nostra”.
Inoltre, prima di pubblicare annunci pubblicitari, l’iter di Meta è prendere 24 ore di tempo, per controllarne la liceità. Quindi, per dare la possibilità concreta all’hosting di attuare i dovuti controlli in conformità della propria policy.
Infine, Meta prevede anche il controllo da parte di persone fisiche, finalizzata a migliorare i sistemi automatizzati, ma anche per l’analisi manuale delle inserzioni.
Per questi motivi, l’Autorità Garante ha configurato la fattispecie in questione, come una chiara ed indubitabile violazione dell’articolo 9 del Decreto Dignità.
Insomma, allo stato attuale, sembra evidente che Meta aveva tutti gli strumenti per valutare i contenuti degli annunci e decidere se pubblicare le sponsorizzazioni o meno.
La sanzione di 750mila euro quindi, considera l’elevata gravità della violazione, in ragione del suddetto art. 9 del Decreto Dignità. Si tratta di una misura che potrebbe quindi creare un precedente e di fatto si pone come esempio per ogni sito social.
Queste piattaforme sono utilizzate ogni giorno da miliardi di persone nel mondo. Ed è sempre più chiaro che dovranno assumere un ruolo maggiormente attivo e responsabile, nel controllo preventivo di inserzioni pubblicitarie. Non è un caso che l'AGCOM si renda anche protagonista di campagne informative come Italia Digitale per sensibilizzare il pubblico al tema del gioco consapevole.
Può accadere, infatti, che le pubblicità sui giochi da casinò possano essere ingannevoli o nocive per gli utenti.
Redatto da: Miriana Menighetti
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